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mercoledì 13 agosto 2014

LA CARITA’ - CHI HA RAGIONE?


Da “VOGLIAMOCI BENE”– Notiziario mensile della SAN VINCENZO ITALIANA – 1989.

Una semplice lapidaria frase di BRUNO SETTI, primo presidente nazionale del neo Consiglio Superiore della Società di San Vincenzo de’ Paoli Italiana, figura notissima nell’ambiente milanese dove ricoprì incarichi di grande responsabilità.
“PREFERISCO RISCHIARE D’ESSERE IMBROGLIATO DA UN FINTO POVERO, PIUTTOSTO DI CORRERE IL RISCHIO DI NON AIUTARE UNA PERSONA CHE HA VERAMENTE BISOGNO”.

Un articolo pubblicato anni fa, di ANTONIO BIANCHI responsabile per molti anni del Vogliamoci Bene fin dalla sua fondazione e responsabile delle Conferenze aziendali lombarde, fondatore dell’Opera Macchi.
“LA CARITÀ DEVE ESSERE CIECA, MA NON SEMPRE ED ORA MENO CHE MAI”.
Non vorrei essere frainteso e che si pensasse che voglio frenare gli impulsi dei confratelli.
Però tutti noi avremo fatto l’esperienza che spesso, quando ci lasciamo commuovere da suppliche e lamenti di sconosciuti, prendiamo fior di cantonate e, mentre deploriamo poi di avere aiutato un vagabondo a continuare la sua vita disordinata ed oziosa ci rimane anche il rimorso di avere privato un altro, un bisognoso senza colpa, di quanto abbiamo distribuito male. Ed allora? Allora, direi, ricordiamoci specialmente due cose: primo, che nelle virtù cardinali Dio ha messo la prudenza e non quella che chiamiamo bontà, ma che potrebbe attribuirsi a pigrizia quando ci sembra di avere “fatto la carità”, quindi il nostro dovere di cristiano, dando in qualche modo qualche cosina al primo venuto; secondo, che né quello che diamo noi, né quello che danno gli altri basta per le miserie ed i bisogni che sono certi ed indipendenti dalla condotta di chi ne soffre. Poiché a tutto non si può arrivare, riserbiamo i nostri aiuti per questi bisognosi certi, anziché disperderli sui casi dubbi.
Siamo, piuttosto, diligenti nel cercare di appurare questi ultimi.

Anche chi è ridotto a stendere la mano perché disordinato, vizioso, poltrone e vagabondo, diventato forse per cattive dottrine, per abbandono o venuto da lontano senza appoggio in cerca di un pane non sudato, merita compassione, ma per costoro il soccorso impulsivo può nuocere più che giovare. Dobbiamo adoperarci perché a questi spostati si pensi su larga scala in alto e in basso, ma intanto impieghiamo le nostre modeste risorse là dove siamo sicuri che sono bene impiegate”.

domenica 16 febbraio 2014

VUOTI A PERDERE



Che fine ha fatto la proposta di legge per il ricupero del vetro con rimborso? Se ne parlava alcuni anni fa.

Niente di nuovo sotto il sole. Ai miei tempi… i commercianti già lo facevano. Comperi una bottiglia di vino? Si paga la cauzione. Rendi il vuoto? Ti scontano la cauzione.

Penso alla mia vecchia proposta di coinvolgere i ragazzi nel recupero delle bottiglie vuote, soprattutto abbandonate. I Comuni localizzano un punto di raccolta e ad ogni tot di bottiglie consegnate si riceve un buono (o soldini) da spendere in negozi convenzionati.

Sono sicura che anche gli extracomunitari… si darebbero da fare.



Ricordo la bella idea avuta dal gestore di un campeggio sul lago di Como (erano gli anni 80) per risolvere il problema delle bottiglie, soprattutto di birra, abbandonate dai turisti: cari ragazzi, per ogni bottiglia vuota che mi portate avrete un chewing gum. E ha funzionato: i ragazzi facevano a gara per avvistare i… relitti.



Meditate gente, meditate!

mercoledì 15 gennaio 2014

IL COGNOME DELLA MADRE AI FIGLI



(da “La Costituzione comoda” di Alberto Bertuzzi)


“Venerdì 30 giugno 1980 la trasmissione sulla seconda rete di “L’Altra campana, la vostra opinione del venerdì”, condotta da Enzo Tortora, la signora Cinzia Benati di Cento dal pubblico di questa rubrica così all’incirca disse:
"Ma vi par giusto che ancor oggi, dopo tanti proclami di uguaglianza della donna rispetto all’uomo, contenuti anche nella nostra Costituzione, i figli debbano portare sempre soltanto il cognome del padre?
E non siamo noi donne soprattutto a crescere i figli nel nostro seno e metterli alla luce, soffrendo e talvolta persino rischiando la vita?
Perché dunque privare questi nostri figli del cognome di chi li ha messi al mondo?”


In effetti, a decidere sul proprio cognome, dovrebbero in definitiva essere gli interessati e cioè i figli, più dei rispettivi genitori. Ed infatti, avendo due figli, quando essi ebbero raggiunta l’età maggiore ho loro chiesto se avrebbero gradito unire al mio anche il cognome della madre. E con il loro gradimento in data 19 luglio 1971 ottenni il seguente decreto.


“Il Presidente della Repubblica

Vista la richiesta avanzata dalle persone sotto indicate:

visti gli artt. 153 e seguenti del R. Decreto 9 luglio 1939, n. 1238, per l’ordinamento dello stato civile;

sulla proposta del Guardasigilli, ministro segretario di Stato per la Grazia e Giustizia;

decreta:

Bertuzzi Massimo, nato a Valmadrera il 26 agosto 1944 e Bertuzzi Maria Paola, nata a Milano il 13 settembre 1947, entrambi residenti a Milano, sono autorizzati ad aggiungere al proprio cognome quello “Borgognoni”.

Il presente decreto, a cura dei richiedenti, sarà annotato in calce all’atto di nascita delle persone sopra menzionate e trascritto nei registri in corso delle nascite del comune.

Il Guardasigilli, ministro segretario di Stato per la Grazia e Giustizia è incaricato della esecuzione del presente decreto (firmato Giuseppe Saragat e controfirmato da Emilio Colombo).”.


Nella giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa all’art. 29 è agevole ravvisare una linea di netta evoluzione, infatti il principio dell’uguaglianza fra i coniugi può superare l’arretratezza tradizionale del comportamento maschilista, solo con il coraggioso e costante esercizio di comportamenti anticonformisti.”